Primo maggio: non si uscirà vivi dalla crisi senza riprendere a combattere (maggio 2009)

Pubblicato: 2009-08-28 22:03:39

 

Proletari, compagni!

La crisi economica che si abbatterà sempre più pesantemente sulle nostre spalle, devastando le nostre già dure condizioni di vita e di lavoro, ha origine – come sappiamo per esperienza diretta e per la memoria storica di generazioni e generazioni di proletari – in un modo di produzione, il capitalismo, che fonda la sua esistenza sullo sfruttamento della nostra forza-lavoro. In nome del profitto, una classe di parassiti (la borghesia in tutte le sue varianti, di destra e di “sinistra”), con il suo seguito di funzionari sindacali e politici (espressione della aristocrazia operaia e di tutti i falsi partiti operai – i cosiddetti “riformisti”), ci tiene ancora legati come schiavi, senza mai pagare per la distruzione delle nostre vite, ma continuando a ritirare rendite, interessi, dividendi, cedole. Il prezzo di questo sfruttamento lo paghiamo ogni giorno con le migliaia di nostri compagni assassinati sui luoghi di lavoro, con le cosiddette “malattie sociali”, con la nocività delle fabbriche, con l’aumento infernale dei ritmi di lavoro, con il lavoro che soffoca la nostra esistenza, con le paghe miserabili. Ora, questo modo di produzione votato al profitto, alla competizione di tutti contro tutti, alle guerre commerciali e alle guerre guerreggiate, a forza di produrre merci s’è gonfiato come un bubbone ed è entrato in crisi per... troppa ricchezza: una ricchezza che per noi è miseria, sottoalimentazione e disoccupazione di massa.

 

Proletari, compagni!

La borghesia (questa minoranza che possiede l’80% della ricchezza sociale) sa bene che ci vuole ben altro che il sostegno al consumo dei “beni durevoli”, qualche ammortizzatore sociale e la distribuzione di elemosine per chi, usurato da anni di lavoro, è “fuori produzione”, o è stato o sarà scaricato sui marciapiedi a condividere le stesse condizioni di precari, immigrati, giovani (con il risultato, in più, di essere messi gli uni contro gli altri per qualche misero posto di lavoro, ancor più precario e pericoloso). E ci chiede di aver pazienza, di accettare queste elemosine e di essere disciplinati e solerti nelle fabbriche-galere, di mostrarci pacifici e obbedienti e di smetterla di scioperare e dimostrare nelle strade e nelle piazze, di inginocchiarci davanti allo Stato e ai padroni, di far sacrifici per rimettere in moto la macchina capitalistica ingolfata dalla sovrapproduzione e tornare a far gonfiare i profitti. Insomma, ci invita a prendere tutto con ottimismo e rassegnazione, perché teme la nostra lotta, che già chiama “emergenza sociale”.
La verità è che quelli di noi che resteranno al lavoro saranno messi ai ceppi. Il tempo di lavoro sarà complessivamente allungato e intensificato e la nostra classe (quella dei senza riserve) dovrà pagare un prezzo enorme in ogni paese del mondo: disoccupazione, licenziamenti, precarietà crescente, riduzione allo stato di miseria. Alla fine, quando si sarà dimostrato che non si esce dalla crisi se non cementando le economie nazionali con lo stimolo della produzione bellica, saremo portati direttamente dai posti di lavoro ai fronti di guerra, per consumarci come carne da cannone. La guerra è la loro soluzione per uscire dalla crisi – non esistono per loro altre vie, come già è risultato chiaro in passato.

 

Proletari, compagni!

Per respingere la sottomissione totale e la soluzione che la classe dei capitalisti, dei padroni della finanza e delle rendite, ci prospetta, occorre tornare a impugnare le armi della lotta di classe: quelle armi che le istituzioni organizzate dal nemico di classe (i sindacati di regime e i partiti opportunisti) hanno nel tempo disinnescato, ma che tutti noi conosciamo per esperienza diretta, nelle battaglie sostenute in tanti anni. Le rivendicazioni, in questa crisi così violenta nella quale i nostri nemici vogliono farci perdere anche la speranza nel futuro, devono rispondere soltanto ai nostri bisogni di vita e di lavoro e si possono ottenere solo se ci daremo organizzazioni territoriali di lotta economica e sociale chiuse ai padroni e ai loro servi e capaci di combattere con intransigenza, coraggio e continuità. E’ intorno a queste rivendicazioni e a questi metodi di lotta che sarà necessario e possibile riorganizzare il nostro fronte di classe:

 

 

Soltanto da una difesa così determinata si potrà allora sviluppare la forza necessaria per passare a una vittoriosa offensiva. Ma i nostri obbiettivi immediati, i nostri metodi, la nostra organizzazione economica, il nostro numero e la nostra presenza diffusa ovunque, per quanto necessari per sopravvivere oggi e riorganizzare le nostre file, non saranno sufficienti da soli per scrollarci di dosso la dittatura che la borghesia imperialista ci impone con la sua democrazia parlamentare e tutte le sue istituzioni democratiche (o, a seconda della bisogna, autoritarie e fasciste): il regime del capitale è un regime di guerra, di distruzione delle qualità umane e di deterioramento della vita sulla terra fino a minacciarne la scomparsa. Per essere dunque vincente, l’offensiva a cui siamo chiamati deve essere inserita nella prospettiva (ancora lontana, ma da preparare fin dalle lotte di oggi) di una rivoluzione sociale e politica, della conquista del potere e dell’instaurazione della nostra dittatura di classe, fino alla vittoria definitiva del comunismo, società finalmente senza classi. E per questo è necessaria un’arma fondamentale, fatta di teoria e di pratica, di scienza e di organizzazione: il Partito di classe, il Partito rivoluzionario.
A questa lotta e a questa prospettiva, alla guerra di classe, vi chiama e vi attende il nostro partito, il vostro partito.

 

 



Partito Comunista Internazionale
(
Supplemento al n°3/2009 de " Il programma Comunista")