Lettera dalla Francia

Pubblicato: 2010-11-28 22:00:09

Nel giro di poco tempo, si è passati dalla grande mobilitazione antifascista e dal forte movimento pacifista, entrambi animati da una feroce volontà democratica, a un tentativo riuscito d’offensiva generalizzata contro l’insieme dei salariati – e dunque, in primo luogo, della classe operaia – nel settore delle pensioni, grazie all’attiva complicità della sinistra parlamentare e di tutti i sindacati “rappresentativi”. Com’è avvenuto questo passaggio? Proviamo a vedere.

Non è proprio un caso che, dopo la trionfale rielezione di Jacques Chi-rac al secondo turno dell’elezione presidenziale nell’aprile 2002 e l’ar-rivo al timone dello stato d’un governo votato alla difesa degli obiet-tivi del padronato francese in materia di allungamento della durata del lavoro (e dunque di riduzione del livello delle pensioni), questo go-verno, fin dall’aprile 2003, presenti una riforma detta “di armonizza-zione” della durata dei contributi fra i lavoratori salariati del settore privato e i dipendenti del settore pubblico.

L’attacco contro i salariati è diretto. In più, la famosa legge sulle 35 ore settimanali ha finito per introdurre una flessibilità generalizzata del mercato del lavoro – quella flessibilità che invano, nell’arco di de-cenni, il padronato s’era sforzato d’ottenere. Eppure, la “sinistra plu-rale” al governo per sette lunghi anni non è riuscita a condurre feli-cemente in porto l’offensiva del Capitale sulle pensioni. Monsieur Ro-card, socialista convinto e premier fin dal 1989, aveva previsto in un Libro Bianco una riforma delle pensioni, proponendo di portare a 42 anni e in maniera progressiva la durata minima dei contributi. E così aveva ampiamente preparato il terreno ai suoi successori di destra sull’argomento.

In effetti, è dal 1993 (governo Balladur) che è stata indicata la data dell’1 gennaio 2003 per l’applicazione legale d’una durata minima dei contributi di 40 anni di lavoro, prima di poter beneficiare d’una pen-sione per i salariati del settore privato, invece dei 37,5 anni che vige-vano fino a quel momento. La legge accompagnava quest’obbligo con una indicizzazione delle pensioni basata sui prezzi e non più sui sala-ri, con riferimento ai 25 migliori anni invece che ai 10 anni preceden-temente trattenuti.

Allo stesso modo, le misure adottate nel 1996 e nel 2001 nei confronti delle pensioni dette complementari sono andate nella stessa direzio-ne. Quand’era candidato all’elezione presidenziale nel 2002, Jospin aveva dichiarato che la riforma del sistema pensionistico sarebbe sta-ta – in caso di sua elezione – il suo principale obiettivo. D’altra parte, fin dal maggio 2002 un rapporto del Conseil d’Orientation des Retrai-tes, diretto dal primo ministro socialista Jospin, si confrontava con la posizione della destra parlamentare, attualmente al potere, su questa stessa questione. In altre parole, tutto lo strillare che levano oggi i so-cialisti è tanto meno credibile in quanto essi stessi, se si fossero man-tenuti al potere, avrebbero combinato al riguardo ciò che oggi giudi-cano inammissibile dei loro avversari.

La scoperta dei nuovi mestieri gravosi – scuola e ospedale, che pos-sono quasi essere considerate le miniere di oggi, quanto a lavoro mal-sano e stressante è servita da detonatore a un vasto movimento di protesta: così, parecchie migliaia di salariati manifesteranno per nu-merose settimane in tutte le città di Francia, sostenuti da scioperi per lo più indetti senza il preavviso previsto dalla legge. Ma questo movi-mento s’andrà spegnendo via via che s’avvicinano la data di giugno e la discussione democratica nell’emiciclo parlamentare sul problema delle pensioni.

È dal 3 aprile 2003 che il capo del governo ha annunciato la propria volontà di “armonizzare” progressivamente la durata dei contributi necessari per beneficiare d’una pensione tanto nel settore pubblico (dipendenti) quanto in quello privato.

La borghesia francese intende dunque trar profitto dal disorientamento nei ranghi dei salariati di fronte alla sua politica di unione nazionale, prima di tutto contro l’estrema destra di Le Pen e compagnia e poi di fronte alla “guerra di Bush” in Irak, in nome d’un pacifismo del tutto al di fuori delle realtà interimperialiste.

Il dibattito in Francia sulla questione delle pensioni nasconde infatti profonde inquietudini che si mani-festano a proposito della stagna-zione economica, dell’aumento del-la disoccupazione, dell’accanita concorrenza che si fanno tutti i pae-si imperialisti e da cui usciranno vincitori solo i più forti. Sono dun-que necessarie alla borghesia fran-cese altre armi relative all’occua-zione, alla delocalizzazione, alla ne-cessità di far lavorare di più e più a lungo i salariati, per assicurarsi così una maggiore competitività di fronte alla concorrenza, fatta essa stessa di altri rapaci imperialisti.

La prossima tappa sarà, non c’è dubbio, lo smantellamento dell’as-sistenza sanitaria, già iniziato con l’aumento del numero di medicine (più di 600) rimborsate in misura minore o addirittura non rimbor-sate.

Sul piano sindacale, va alla CFDT il privilegio, quest’anno, di indossa-re il cappello dell’impopolarità, per aver “patteggiato con la destra”. Da notare che, nel corso degli an-ni ’80, il ruolo di “sindacato gial-lo” era stato attribuito a FO, men-tre nel 1968 era toccato alla CGT stessa il compito di fare aperta-mente la “crumira” – tutti, uno do-po l’altro, accusati in meno di cin-quant’anni di castrare il movimen-to sociale.

Ma non bisogna illudersi. Anche questa volta, nonostante gli appelli demagogici all’”ampliamento”, al-la generalizzazione, al “coordina-mento”, perfino – all’occorrenza – allo sciopero generale, la stessa FO si rifiuta di lanciare la parola d’or-dine di uno sciopero generale in-terprofessionale e illimitato (che, secondo essa, diventerebbe un ap-pello all’insurrezione!).

È così che l’insieme dei sindacati della scuola, FSU, UNSA, FO, si so-no ritrovati uniti per evitare ogni blocco delle aule d’esame e lo scio-pero degli esami per impedire che avrebbero impedito le prove del baccalauréat (la maturità francese) nelle date previste – giugno 2003

-, mentre il solo metodo efficace sarebbe stato proprio di concretizzare nei fatti tali minacce.

Dopo la vittoria del governo in que-sta riforma delle pensioni, ottenu-ta senza fatica per via parlamen-tare (il gruppo UMP, che sostiene questa riforma, è largamente mag-gioritario nell’Assemblea Naziona-le), altri attacchi seguiranno, e di certo colpiranno l’assistenza sani-taria, e via via altri aspetti dello sta-to sociale.

Per noi, militanti rivoluzionari, con-ta solo la conferma della validità dell’analisi marxista. Come diceva il nostro vecchio Marx, solo il la-voro vivo è fonte di plus-valore! Ma, per quanto dura sia questa nuova sconfitta, ciò non toglie che nuove forze siano entrate in lotta, nonostante le pressioni, le menzo-gne, le falsità con cui la borghesia colpisce quotidianamente fra tutti i senza riserve. Verrà giorno in cui si riformerà il vero partito rivolu-zionario, capace di condurre le tu-te blu come i colletti bianchi verso l’abolizione delle classi, suonando l’ora dell’uscita dell’umanità dalla sua orribile preistoria.

 Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2003)