Attacco al salario: pensioni di fame e rapina del TFR (maggio 2007)

Pubblicato: 2009-08-25 15:49:37

 

Precarietà e flessibilità, ritmi folli e “omicidi sul lavoro”: dopo la riduzione della contingenza ad atto programmato senza alcun legame con il costo reale della vita (accordi del 1993), dopo il congelamento degli scatti di anzianità, dopo il patto sociale contenuto nel “pacchetto Treu” (1997) e la “riforma Biagi” con l'allargamento del lavoro flessibile e  precario, senza parlare dell'aumento dei ritmi di lavoro e del pesante tributo di morti e feriti e di malattie professionali, ecco che la “questione delle pensioni” – inaugurata dal governo del “socialista” Amato, proseguita da Ciampi, rimessa a nuovo da Dini (governo Prodi-D'Alema) con il passaggio al sistema contributivo, e ritoccata da Maroni – è ritornata al centro del mirino della borghesia “di sinistra”.

 

 

Un nuovo attacco alle pensioni: il prolungamento del tempo di permanenza al lavoro e l'ulteriore peggioramento delle condizioni di vita di coloro che andranno in pensione sono le ultimissime direttive. L'innalzamento dell’età pensionabile, con la sostituzione dello scalone nel 2008 con gli scalini e la riduzione (legata alla speranza di vita) dei coefficienti che determinano l'importo della pensione, è ciò che si profila all'orizzonte, con un ulteriore taglio del 6%-8% sulle pensioni. Tale meccanismo dei coefficienti unito al nuovo sistema contributivo avrà come risultato il passaggio dall’attuale 80% dell’ultimo stipendio al futuro 40% – sempre ammesso che, con la crescita della flessibilità e della precarietà del lavoro, si possa mai giungere ad avere un straccio di pensione. L’attacco condotto dal capitale dall’inizio degli anni Ottanta ad oggi sta investendo impietosamente tutte le condizioni di esistenza del proletariato.

 

Rapina a mano armata del TFR: per anni le aziende hanno utilizzato a loro piacimento quel cumulo di salario differito che è il Tfr, il cosiddetto “trattamento di fine rapporto”. A partire dall'1/1/2007, il governo “di sinistra”, anticipando una legge varata dal governo Berlusconi, ha disposto che questo denaro possa finire in Fondi pensioni per essere “amorevolmente” investito e così “assicurare una vecchiaia più serena ai lavoratori”(!?). Dopo aver svuotato le casse pensioni per decenni, facendo pagare agli operai il costo degli ammortizzatori sociali nel corso delle continue ristrutturazioni delle aziende, oggi, vista la consistenza del malloppo del Tfr, il “Comitato d’Affari della Borghesia”, su pressione del capitale finanziario, ha deciso di farlo gestire alla grande, portandolo sul mercato finanziario: con il trucco del silenzio-assenso, a fine giugno potrà mettere le mani su miliardi di euro annui. Tutto ciò avviene con l’attiva partecipazione delle organizzazioni sindacali, che non si sono certo tirate da parte: anzi, ben più di altri promotori finanziari, promettono per conto loro “serenità”, investendo, non nelle lotte per la difesa dei lavoratori, ma nei... “fondi pensione”. Così, quella piccola riserva, quella “pensione aggiuntiva” (?), sparirà come nel gioco delle tre carte, volatilizzandosi alla prossima crisi finanziaria.

 

Che fare?

Nella miserabile società in cui viviamo, la garanzia d’un futuro meno stentato, grazie al quale fronteggiare la vecchiaia e le malattie per sé e per i propri familiari, dipende unicamente dalla lotta intransigente per il salario e per l'abbattimento drastico del tempo di lavoro, coordinata a quella contro i folli ritmi di lavoro, che ogni giorno mettono a repentaglio e abbreviano la vita dei proletari.

Non c’è altra via, non ci sono scorciatoie! La rapina a mano armata del Tfr fa seguito alla debolezza della risposta dei lavoratori all’attacco che da decenni hanno subito sul piano del salario e dell’orario di lavoro. Pensioni e Tfr dipendono dal salario, e dunque è da esso che occorre partire. Non c’è altra via.

Il futuro sarà sempre segnato dalla profondità delle lotte di difesa delle condizioni di vita e di lavoro nel presente e dall’offensiva messa in campo dalla guerriglia quotidiana della classe operaia contro il capitale: pertanto, le lotte non devono più ridursi a folkloristiche manifestazioni di strada, a consultazioni referendarie, a scioperi da operetta, come quelle imposte dai sindacati corporativi, divenuti co-gestori della resa operaia. Esse devono invece estendersi e trasformarsi in aperto conflitto di classe. Per esprimere la propria forza e l'unione sempre più ampia per la difesa di interessi comuni, i lavoratori devono:

 

 

Che cosa rivendicare allora?

Da qui bisogna ripartire, nella consapevolezza che, certo, si tratta di una lotta di difesa. Ma è l’unica lotta che permetterà, sotto la guida del partito rivoluzionario, di passare dalla difesa all’attacco, contro un modo di produzione ormai da decenni in crisi, che sempre più dimostra (e i lavoratori lo sanno sulla propria pelle) d’essere distruttivo e catastrofico nelle sue manifestazioni e nelle sue realtà quotidiane.

 

 

Partito Comunista Internazionale

(Il programma comunista)